La gestione dei cani in condominio
Source: http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2018/10/18/la-gestione-dei-cani-in-condominio
In ambito condominiale il diritto del singolo condomino di tenere con sé animali di affezione non è assoluto o illimitato, ma deve essere contemperato con il diritto alla salute e alle esigenze personali di vita connesse all’abitazione degli altri condomini.
Uno dei motivi più frequenti di dispute tra gli abitanti dello stesso stabile riguarda la presenza di animali domestici all’interno del condominio.
Prima della riforma del condominio, però, i condomini che non amavano i cani potevano acquistare un appartamento nei caseggiati dotati di regolamenti di natura esterna (cioè predisposti dal costruttore) contenenti clausole di natura contrattuale (e quindi vincolanti per tutta la collettività condominiale) che vietavano di detenere animali nelle proprietà esclusive.
Si è ritenuto infatti che i limiti di uso, di destinazione o relativi al potere di tenere animali nell’abitazione, se contrattualmente assunti, siano vincolanti per i singoli condomini: hanno infatti natura negoziale quelle disposizioni che, comportando limiti negli usi o destinazioni delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini medesimi[1].
Tali clausole di natura contrattuale non richiedono il disturbo effettivo, la molestia, l’immissione intollerabile, poiché il divieto di tenere animali ha valore assoluto.
La riforma del condominio, però, ha modificato l’art. 1138 c.c. introducendo il nuovo quinto (e ultimo) comma, in forza del quale “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Dopo le modifiche del legislatore del 2012, parte della dottrina ritiene che tutti i regolamenti, anche quelli non assembleari, non possano menomare …, non possano derogare …, e comunque non possano vietare di possedere o detenere animali domestici[2].
La preclusione di cui sopra, in considerazione della collocazione della norma posta dopo la previsione dei limiti inderogabili di cui sopra dovrebbe operare anche nei confronti dei regolamenti contrattuali.
Del resto secondo altra opinione, il rapporto con l’animale da compagnia dovrebbe ormai essere un diritto di rango costituzionale riconducibile ai “diritti inviolabili dell’uomo” di cui all’art. 2 Cost., interpretato non come norma “chiusa”, riassuntiva di tutti i diritti fondamentali tutelati espressamente nella carta costituzionale, ma come norma “aperta”, idonea a recepire i principi e i valori via via riconosciuti in base all’evoluzione della coscienza sociale.
Tale tesi – che ha trovato accoglimento anche nella giurisprudenza di merito[3] – non è condivisa da diversi studiosi secondo cui la nuova disposizione, recependo totalmente la posizione già espressa dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, ribadisce che il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto nei regolamenti condominiali approvati a maggioranza, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva[4].
Del resto, pur dovendosi riconoscere la profondità del rapporto uomo-animale, pare eccessivo sostenere che l’affezione per l’animale, per quanto intensa, possa assurgere al rango di interesse a copertura costituzionale, di diritto fondamentale dell’individuo, alla stessa stregua di quelli, inalienabili e incoercibili, rientranti nel nucleo primigenio di tutela della persona[5].
In ogni caso, in attesa di conoscere l’opinione della Cassazione, il condomino che vuole tenere un cane è tenuto ad adottare tutte le cautele necessarie per evitare molestie agli altri partecipanti al condominio.
I latrati intollerabili del cane
Secondo l’art. 844 c.c. il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avendo anche riguardo alla condizione dei luoghi.
L’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 844 c.c. anche negli edifici in condominio in passato era stata enunciata più volte sia nelle sentenze di legittimità sia in quelle di merito, ma è stato soltanto nel 1993 che la S.C. ha chiarito che tale applicazione viene imposta dal principio costituzionale della funzione sociale della proprietà[6].
Non v’è dubbio che il criterio della “normale tollerabilità”, indicato dall’art. 844 c.c. per verificare la liceità delle immissioni sia un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in dati aritmetici fissati dal legislatore, ma ha riguardato a tutte le caratteristiche del caso concreto.
Il limite della tollerabilità delle immissioni, quindi, non ha carattere assoluto ma deve essere fissato con riguardo al caso concreto.
Di conseguenza la valutazione diretta a stabilire se le immissioni restino comprese o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio (ossia prescindendo da considerazioni attinenti alle singole persone interessate alle immissioni) e, dall’altro, alla situazione locale[7].
Questi principi trovano piena applicazione anche in relazione ai rumori prodotti dagli animali dei singoli condomini.
Tuttavia il codice civile non fissa una misura di decibel oltre la quale l’abbaiare del cane è vietato, né tantomeno fissa un orario oltre il quale i latrati non sono consentiti.
Secondo la giurisprudenza però il rumore si deve ritenere intollerabile allorché, sul luogo che subisce le immissioni, si riscontri un incremento dell’intensità del livello medio del rumore di fondo di oltre 3 decibel[8].
Questo valore viene solitamente considerato il limite massimo accettabile di incremento del rumore, tenuto conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, ed è stato riconosciuto anche dalla Cassazione come un valido ed equilibrato parametro di valutazione per un idoneo contemperamento delle opposte esigenze dei proprietari.
È evidente, quindi, che i condomini devono ridurre al minimo le occasioni di disturbo e prevenire le possibili cause di agitazione dell’animale, soprattutto nelle ore notturne; occorre, però, tenere presente che la natura del cane non può essere coartata al punto da impedirgli del tutto di abbaiare e che episodi saltuari di disturbo da parte dell’animale possono e devono essere tollerati dai vicini, in nome dei principi del vivere civile.
Al contrario le immissioni di rumore provocate dall’abbaiare continuo del cane non occasionale, ma continuo sia di giorno che di notte, anche fino a tarda ora, non può che risultare intollerabile[9].
Sul piano probatorio l’entità delle immissioni rumorose e il superamento del limite della normale tollerabilità può essere oggetto di consulenza tecnica o di deposizione testimoniale (anche in relazione agli orari e alle caratteristiche delle immissioni stesse), spettando poi al giudice valutare, oltre l’attendibilità, anche la congruità delle dichiarazioni rese dai testimoni)[10].
Se l’esistenza delle immissioni illegittime risulterà accertata, il giudice ordinerà al responsabile di adottare le necessarie misure per far cessare i rumori molesti, condannandolo al risarcimento degli eventuali danni anche non patrimoniali (che risultano sempre sussistenti e non abbisognano di specifica prova).
In ogni caso non si possono escludere danni alla salute giacché l’esposizione prolungata ai latrati del cane, soprattutto se questi si avvertono nelle ore notturne, può anche creare dei danni permanenti alla salute psicofisica.
In tal caso basterà dimostrare il nesso di causalità tra il danno subito e l’esposizione prolungata rumore per ottenere anche un ristoro di tale componente del danno.
Il disturbo del riposo delle persone
Il tema delle immissioni, oltre ai risvolti civilistici, può rilevare anche in ambito penale come conseguenze del comportamento tenuto da chi produce rumori illeciti a danno di altri soggetti.
In particolare l’art. 659 c.p., prevede che chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.
Per affermare la sussistenza di questo reato è necessario procedere all’accertamento della natura dei rumori prodotti dal soggetto agente e alla loro diffusività, che deve essere tale da far risultare gli stessi rumori idonei ad arrecare disturbo ad un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio.
In altre parole, ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dal ricordato art. 659 c.p. è necessario che le immissioni abbiano l’attitudine a propagarsi ed a costituire fonte di disturbo per una potenziale pluralità indeterminata di persone, sebbene non sia poi necessaria la dimostrazione che poi tutte costoro siano state effettivamente disturbate.
Ne consegue che i rumori prodotti dall’imputato devono avere la capacità di propagarsi all’interno dell’intero stabile condominiale, arrecando così potenziale disturbo ad un numero indeterminato di persone, costituite dai condomini residenti e da chiunque altro si trovi in quel frangente nell’immobile, e non soltanto agli occupanti degli appartamenti ubicati in prossimità del luogo in cui l’animale abbaia[11].
Così ad esempio se i cani sono rinchiusi in una stanza che confina con la camera da letto del condomino vicino e il latrare è insopportabile proprio da quella stanza, non ricorre il requisito dell’idoneità ad arrecare disturbo ad una serie indeterminata di persone con la conseguenza che i rimedi attivabili nel caso di specie sono quelli previsti dal codice civile e di procedura civile, ma non quello della fattispecie penale sopra detta.
Il giudice di merito, quindi, deve argomentare in ordine all’intensità di tali rumori ed alla situazione del luogo ove gli stessi sono stati emessi, al fine di verificare, ancorché sulla base di dati di tipo logico (e non anche necessariamente storico), l’esistenza di elementi atti a giustificare, sulla base del principio del libero convincimento del giudice, la sussistenza della predetta attitudine[12].
Così, a titolo esemplificativo, si dovrebbe valutare la razza e la conseguente presumibile stazza delle bestie in questione (dati attraverso i quali è lecito desumere l’intensità, la ripetitività e la tipologia del verso dalle stesse emesse), la situazione abitativa dei luoghi ove il fatto si è verificato (essendo evidente che una zona caratterizzata da numerosi insediamenti abitativi appare più soggetta all’efficacia del disturbo sonoro arrecato rispetto ad una zona in cui vi è una ridotta incidenza di persone residenti), l’esistenza di ulteriori, periodiche o continue, fonti sonore di disturbo, tali da elidere la valenza molestatrice di quelle oggetto della imputazione.
Gli odori insopportabili e lo stillicidio di peli
Non è raro che la mancata rimozione delle deiezioni canine e le condizioni igieniche dei cani dei condomini provochino esalazioni che superino la normale tollerabilità.
Anche in questo caso il condomino disturbato, sulla base dell’art. 844 c.c., può rivolgersi al giudice civile e richiedere la cessazione delle immissioni illecite ed il risarcimento danni.
È importante rilevare, però, che le esalazioni sgradevoli emesse dagli animali all’interno del condominio possono integrare la fattispecie di reato di cui all’art. 674 c.p., che punisce il getto pericoloso di cose con una contravvenzione[13].
Tale figura di reato è configurabile anche in presenza di una condotta omissiva che può essere integrata dall’omessa custodia di animali, qualora siano derivate “molestie olfattive”[14] o si verifichino versamenti di deiezioni animali nell’appartamento sottostante atte ad offendere, imbrattare o molestare beni e persone[15].
In tali casi, non esistendo una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo alla normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., criterio che costituisce un referente normativo per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento su elementi probatori di diversa natura e, dunque, anche ricorrendo alle sole dichiarazioni testimoniali dei confinanti[16].
Del resto sempre l’art. 844 c.c. costituisce la norma di riferimento per quanto riguarda il problema delle immissioni intollerabili di peli del cane del singolo condomino che cadono copiosamente nelle proprietà esclusive sottostanti.
In tale ipotesi i condomini danneggiati che ritengono di aver contratto un’allergia non possono agire sulla base responsabilità oggettiva di cui all’art. 2052 in quanto tale norma contempla i casi in cui il danno sia provocato dall’animale nel corso di una sua azione sfuggita al dovere del controllo del proprietario/possessore con onere della prova liberatoria a carico del proprietario/custode.
In altre parole la caduta di peli del cane attiva i meccanismi dell’azione ex art. 844 c.c. con obbligo del danneggiato di provare non solo che le immissioni (caduta di pelo) superano la normale soglia di tollerabilità ma anche che fra le stesse ed il danno lamentato (allergia) sussista un diretto rapporto di causalità.
Cani e parti comuni
La presenza di cani in condominio può generare conflitti anche in relazione all’utilizzo delle parti comuni.
A tale proposito è stato precisato che il diritto di cui è titolare ciascun condomino di usare e godere delle cose di proprietà comune a suo piacimento trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri condomini[17].
Pertanto, l’usare gli spazi comuni di un edificio in condominio facendovi circolare il proprio cane senza le cautele richieste dall’ordinario criterio di prudenza può costituire una limitazione non consentita del pari diritto che gli altri condomini hanno sui medesimi spazi, se risulti che la mancata adozione delle suddette cautele impedisce loro di usare e godere liberamente di tali spazi comuni[18].
Del resto, come ha chiarito la giurisprudenza, si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti.
Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico gli spazi comuni normalmente percorsi dai cani dei singoli condomini[19].
Di conseguenza, anche in ambito condominiale trova applicazione quanto previsto dall’ordinanza del Ministero della salute del 6 agosto 2013 (la cui efficacia è stata prorogata dall’ordinanza 20 luglio 2017).
Questo significa che il singolo condomino, proprietario o detentore di un cane, durante la conduzione dell’animale negli spazi ed impianti comuni, deve utilizzare sempre il guinzaglio a una misura non superiore a mt 1,50.
Del resto chi conduce il cane, o chi dovrebbe controllarlo, è chiamato a rispondere sia in sede civile che in sede penale dei danni cagionati (ad esempio, in caso di danni a cose altrui o di lesioni a persone) a seguito delle violazioni commesse.
In ogni caso l’obbligo di utilizzare il guinzaglio e altre prescrizioni posso essere contenute nel regolamento di condominio.
A tale proposito si è affermato che è legittima la clausola di natura contrattuale di un regolamento che vieti ai singoli proprietari di usare l’ascensore con i propri animali domestici, non potendo intendersi il disposto di cui all’art. 1138, comma 5, c.c., nella parte in cui sancisce il diritto di detenere un animale domestico, come norma che sancisce anche un diritto all’uso delle parti comuni[20].
In particolare non si ritiene condivisibile un’idea di stretta accessorietà della parte comune rispetto alla proprietà singola, in forza della quale quanto è vietato per la parte singola automaticamente debba esserlo anche per la parte comune.
A prescindere da tale conclusione, non sembra che la clausola sopra detta persegua interessi meritevoli di tutela, risultando illogica e dannosa per i condomini anziani costretti ad utilizzare le scale (qualora riescano) per poter uscire dal caseggiato in compagnia dei loro cani.
Al contrario sembrano invece utili e legittime quelle clausole che impongono la pronta rimozione delle deiezioni canine dagli spazi comuni, prevendendo sanzioni pecuniarie a carico dei trasgressori[21].
Allo stesso modo si potrebbero prevedere sanzioni regolamentari a carico del condomino che non impedisca al proprio cane di imbrattare la biancheria stesa ad asciugare nel sottostante balcone o negli spazi comuni.
Tuttavia non impedire che le deiezioni del proprio cane sporchino i panni stesi di altro condomino, non costituisce reato di danneggiamento[22].
[1] Cass. 13 settembre 1991, n. 9591, in Giur. it., 1992, I, 1, 1530. Nel caso di specie, l’assemblea del condominio aveva deliberato di “allontanare i cani dallo stabile”, la cui presenza nei locali comuni e non comuni del condominio costituiva “serio nocumento sia igienico che di molestia” e perché la presenza di detti animali era espressamente vietata dal regolamento di condominio.
[2] A. Celeste – A. Scarpa, in Il regolamento, le tabelle e le spese, Milano, 2014, 103.
[3] Trib. Cagliari 22 luglio 2016.
[4] R. Triola, in Il Nuovo Condominio, Torino, 2013, 476 e La riforma del condominio tra novità ed occasioni mancate, Milano, 2014, 92; G. Bordolli, in Il regolamento e le tabelle millesimali dopo la riforma del condominio, Rimini, 2013, 271. Nello stesso senso: M. Di Marzio, Regolamento contrattuale e divieto di tenere animali, in Dossier condominio, 2014, 143, 15; P. Pontanari, Animali in condominio: una norma poco chiara, in CI, 2014, 960, 1580; L. Bellanova, in Il Nuovo Condominio, Torino, 2013, 211; R. Mazzon, in La responsabilità nel condominio dopo la riforma, Rimini, 2013, 793; L. Salciarini, Il regolamento al vaglio della riforma, in Contr. e impr., 2012, 920, 2163 secondo cui l’ultimo comma dell’art. 1138 c.c. non è certo una primizia, e si colloca, invece, pienamente in linea con una consolidata giurisprudenza che già da tempo aveva affermato l’invalidità di una qualsiasi clausola regolamentare che, approvata “a maggioranza”, contenga un divieto di detenzione di animali nell’edificio.
[5] M. Corona, Il notaio ed il condominio: La giustizia preventiva nelle vicende condominiali, 2018, in www.notariato.it.
[6] Cass. 15 marzo 1993, n. 3090, in Arch. loc., 1993, 495.
[7] Cass. 20 ottobre 2015, n. 21172, in Mass. Giur. it., 2015.
[8] Cass. 26 aprile 2001, n. 10735, in Giur. it., 2002, 1861.
[9] Trib. Lucca 10 gennaio 2014, n. 40.
[10] Cass. 12 febbraio 2016, n. 2864, in Ragiusan, 2016, 385-386, 114.
[11] Cass. 14 aprile 2018, n. 17131, in Mass. Giur. it., 2018.
[12] Cass. pen. 16 aprile 2018, n. 16677.
[13] Merita di essere ricordato che è legittimo il sequestro preventivo dei cani che, lasciati in giardino ad abbaiare, in condizioni igieniche precarie, arrecano disturbo alla restante parte della collettività, a prescindere dall’affetto nutrito dal padrone nei loro confronti: Cass. pen. 20 ottobre 2016, n. 54531, in Famiglia e Diritto, 2017, 4, 378.
[14] Cass. pen. 3 luglio 2014, n. 45230.
[15] Cass. pen. 12 giugno 2008, n. 32063.
[16] Cass. pen. 23 maggio 2017, n. 35566.
[17] Cass. 13 luglio 2017, n. 17400, in Mass. Giur. it., 2017.
[18] Cass. 3 novembre 2000, n. 14353, in Giur. it., 2001, 228.
[19] Cass. pen. 20 gennaio 2017, n. 2754.
[20] Trib. Monza 28 marzo 2017.
[21] Si noti che l’ordinanza del Ministero della salute del 6 agosto 2013 obbliga a raccogliere le deiezioni e ad avere con sé gli strumenti adatti alla raccolta; tuttavia non sempre è sufficiente avere con sé unicamente paletta e sacchetto, in alcuni casi è necessario avere a disposizione una bottiglia d’acqua.
[22] Cass. pen. 26 marzo 2018, n. 13970.