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  • Verso una gestione manageriale. L’amministratore di condominio diventa general contractor

Verso una gestione manageriale. L’amministratore di condominio diventa general contractor

  • Posted by admin
  • Categories News
  • Date 27/11/2019

Source: https://www.condominioweb.com

Sappiamo tutti, ormai, che il buon gestore della proprietà comune deve necessariamente saper coordinare interventi, metodologie operative e criteri di spesa che spaziano su campi professionali di diverso tipo, impegnandosi ad intersecarli tra loro in vista dell’ottenimento di risultati tangibili ed economicamente apprezzabili. E sappiamo pure che il mercato tende sempre più ad allontanare gli amministratori incapaci di garantire la buona gestione interdisciplinare delle parti comuni, pretendendo che l’esecuzione dei mandati dimostri fattivamente i giusti connotati di natura manageriale utili per servire, tutelare e mantenere la proprietà dei singoli.

Diciamo che, nell’immediato futuro, potremmo essere pronti a nominare, in luogo del professionista amministratore, un vero e proprio General Contractor , ovvero un contraente generale.

 

Ne avete sicuramente sentito parlare. E’ la figura professionale introdotta in Italia con la legge n. 443/2001, meglio conosciuta come “legge obiettivo”, che ha normato un nuovo ruolo fra i soggetti impegnati in edilizia, disciplinandone le caratteristiche qualitative con il successivo decreto legislativo n.190/2002.

 

Vi chiederete: cosa c’entra il General Contractor delle opere pubbliche con l’amministrazione condominiale? E quali punti di contatto coesistono fra tali due specifiche identità? Eccoci al punto.

Come per l’affidamento dei lavori “ad una sola unita’ organizzativa dotata di competenze multidisciplinari, progettuali edesecutive necessarie alla corretta realizzazione delle opere richieste”, normato dalla citata legge 443/2001, anche il condominio, oramai, viaggia verso una prospettiva “a tutto tondo” e pretende alta, continua e specialistica attenzione da parte dei mandatari destinati ad operarne la gestione.

E se paragonare i grandi lavori statali alle più modeste e oltremodo variegate amministrazioni condominiali può sembrare, a prima vista, una forzatura di difficile comprensione, basti pensare alle grandi sfide che si stanno profilando all’orizzonte lavorativo dei professionisti del ramo per comprendere appieno questo spunto di riflessione.

Nel soffermarci a ben considerare la incessante produzione di norme settoriali e – conseguentemente – l’assunzione di sempre nuove responsabilità personali, non possiamo infatti sottacere il grande divario esistente fra il sostegno normativo già offerto in termini di “spinta” specialistica nel comparto della creazione di strutture edili pubbliche, cui le norme si rivolgono con puntuale attenzione producendo da tempo soluzioni efficaci, e il caos assoluto che regna ancor oggi in ordine alle caratteristiche di affidabilità, competenza e qualità del servizio rilevabili dalle norme dettate in riferimento all’amministrazione condominiale, sia prima che dopo la riforma del 2012.

Insomma, si tratta di prendere spunto dalle stesse iniziative che lo Stato ha avviato, già vent’anni fa, sulla base della riconosciuta esigenza di dover affidare i propri appalti a soggetti in possesso di “adeguata struttura progettuale e tecnico organizzativa“, e di richiamare l’attenzione del legislatore verso i grandi temi rimasti aperti sul fronte della gestione condominiale, stante la sempre più reclamata conduzione dei manufatti edili nel rispetto della piena soddisfazione del cliente-condòmino attraverso la rigorosa osservanza delle norme legislative orbitanti nel medesimo settore.

Torniamo dunque, ancora una volta, ad affermare che appare oltremodo necessaria, nel mondo della gestione condominiale, la completa apertura a una visione multidisciplinare dell’attività capace di alzare l’asticella quanto a prerogative e a qualità operative di intervento dei suoi addetti, da rapportare – in funzione della migliore esecuzione del contratto di mandato – alla più ampia soddisfazione di una committenza privata che pretende maggiormente, rispetto al passato, piena godibilità e piena conservazione dei suoi averi immobiliari.

La domanda è questa: chi, fra gli amministratori condominiali, ha sempre sognato di spingere il proprio studio verso obiettivi smart-oriented , ponendosi nei confronti degli amministrati come supermanager capaci di condensare in un unico interlocutore tutte indistintamente le necessità gestionali degli edifici?

E quanti, impossibilitati o spaventati dalla corsa all’innovazione, preferiscono invece vivacchiare nella permanente “zona d’ombra” concessa dall’immobilismo normativo, che continua a rimanere ingessato dopo essersi a malapena manifestato agli inizi di questo decennio producendo solo una parziale e controversa riforma, peraltro scaturita da fiumi di interpretazioni giurisprudenziali abbattutesi sui pochi, inermi dettami codicistici da sempre esistenti?

Se posso azzardare un presagio, il dito indice di molti si è subito alzato in risposta al primo quesito.

Lo conferma, nei fatti, il trend in ascesa della sempre più evidente “fame” di vera cultura dell’amministrare, solleticata dal continuo, incessante e qualitativo susseguirsi di eventi formativi sui temi cruciali della vita dell’amministratore professionista.

Lo dimostra, nei fatti, la sempre maggiore attenzione dell’editoria specializzata nel rendere pubbliche e unanimemente fruibili le norme, la giurisprudenza, i tecnicismi e le implicazioni tutte che gravitano intorno alla gestione del condominio.

Lo esplicitano infine, nei fatti, i professionisti operanti nel ramo immobiliare, sempre più partecipativi rispetto alle condizioni, agli equilibri ed alle sorti del loro lavoro, e sempre più “in corsa” verso aggiornamenti e specializzazioni, perché divenuti convinti, in gran parte, della necessità di imporsi e di svettare in un mercato divenuto molto severo, piuttosto smaliziato e troppo spesso intransigente.

Negli ultimi anni, dunque, la crescita qualitativa dei livelli di professionalità espressa dai gestori della proprietà comune si va attestando con azioni concrete, e pur non essendo modernamente normata si avvicina molto ai presupposti ed alle aspettative della succitata legge n. 443/2001 che ha disciplinato – quasi vent’anni fa – le caratteristiche proprie del General Contractor.

Cosi come c’erano (e ci sono) imprese e Imprese in campo edilizio, c’e condominio e Condominio ed esistono, certamente, amministratori ed Amministratori.

Fatto sta che il tempo del ragionier Fantozzi e delle sue soprammaniche nere è oramai roba da preistoria, specchio di un modo di operare rimasto vivo solo nelle pellicole un po’ trash che rappresentavano vizi e virtù del belpaese, così come le piatte annotazioni di entrate e uscite nel quaderno di contabilità e le file allo sportello per il pagamento della bolletta della luce restano sempre più circoscritte dentro i racconti dei nostri nonni sui bei tempi andati.

Dicevamo, dunque, dei General Contractor . La norma li ha collegati solo alle grosse commesse pubbliche, e per tale motivo la loro immagine è rimasta finora intrappolata nella cerchia un po’ oligarchica di quella tipologia di addetti ai lavori.

In realtà, pur in assenza di leggi realmente riformatrici del settore delle amministrazioni condominiali, i fatti raccontano che tra automazione spinta, mercati in concorrenza e responsabilità crescenti, risulta sempre più certa ed evidente l’alta propensione generale verso l’identificazione di gestori professionisti con la P maiuscola, proprio come si conviene alla figura dei General Contractor.

Pensate a coloro che curano centri commerciali, o governano edifici che ospitano attività ricettive, o ai professionisti che vengono nominati addirittura per esigenze di amministrazione portuale e per la gestione dei relativi posti barca. Mica esistono solo le palazzine, le facciate ed i balconi.

Mica tutto si riduce alle beghe per i rumori causati dal vicino, alle sporcizia dei cani e alle puzze che provengono delle cucine.

La parola d’ordine, allora, è pensare in grande, proporre, innovare, cambiare le regole del gioco. È di questi giorni la felice notizia dell’avvenuto deposito di un progetto UNI , redatto dagli autorevoli avvocati specialisti Rosario Dolce e Carlo Pikler, destinato ad accertare e a certificare le effettive qualità dei formatori degli amministratori condominiali.

Ben venga un taglio alla mediocrità. Ben venga una garanzia più certa per gli amministratori professionisti in perenne ricerca di identità.

Idee, queste, che dovrebbero partire dallo Stato, prima ancora che dall’impegno e dalla caparbietà di pochi autonomi operatori qualificati, e che tardano a maturare solo per l’atavica lentezza del sistema-Italia, che spesso preferisce tirare a campare piuttosto che prendere il toro per le corna e giocarsi la partita.

Fortuna che la speranza è sempre l’ultima a morire. Come accaduto per le opere pubbliche, e come scaturito dalla filosofia sottostante al varo della legge 443/2001, anche per le gestioni immobiliari private i tempi stanno cambiando.

E poco importa se i GeneralContractor si impegnano a realizzare “con qualunque mezzo l’opera” assumendo unicamente obbligazioni di risultato nei confronti del committente pubblico, mentre la platea degli amministratori condominiali cerca ancora di scrollarsi di dosso l’antica nomea che li lega alla pura e semplice assunzione dell’obbligazionedi mezzi.

Una dicotomia, questa, già mitigata nel lontano 2005 dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale – attraverso una sentenza cardine – ebbe a chiarire come la richiamata differenza fra “mezzi ” e “risultato ” non trovi in Italia alcun riscontro normativo, pur continuando a descrivere, nella totale assenza di specifica regolamentazione, tipologie di prestazioni che quanto a contenuti risultano essere oggettivamente diverse tra loro.

In termini di qualità del servizio, dunque, dal “come fare ” al “cosa ottenere ” il passo è breve. Senza contare che l’immagine, il rispetto, il decisionismo e la remunerazione dei gestori della cosa comune potrebbero finalmente attestarsi ai sempre maggiori livelli di responsabilità attribuiti all’intera categoria, ripulendo il mercato – al contempo – da improvvisatori e mezze calzette.

Resterebbe soltanto, come si può ben immaginare, il non facile lavoro di recupero della pubblica “considerazione” degli amministratori condominiali, i quali, pur operando da sempre e quotidianamente nel tessuto sociale delle nostre città, ancor oggi faticano purtroppo ad imporsi con il giusto “cipiglio” professionale, anche e soprattutto a causa delle dimenticanze, delle trascuratezze e del disinteresse del legislatore.

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